Angelo Giordano, artista che ama confrontarsi con gli “ismi” del XXI secolo, ha studiato Jung con riguardo e attenzione e non è da escludere qualche premeditazione teoretica anche nella sua vertigine di homo faber. Egli infatti giunge a proporre immagini di ineluttabile introspezione quasi a voler dare dimostrazione concreta e insieme simbolica, all’enunciato junghiano per il quale inconscio personale e inconscio collettivo possono ben manifestarsi attraverso l’oggetto in cui si attua la sintesi dialettica fra conoscenza e intuizione: l’opera d’arte. Non deve dunque stupire che questo giovane e valente artista campano, sottenda nei titoli delle proprie opere – specie in quelle di recente produzione passate peraltro al setaccio della severa commissione di un contest di pittura – il significato di “archetipo”, quasi a sottolineare che l’esito della sua ricerca conduce a una verità primordiale, rispetto alla quale le infinite, parziali, contingenti verità della cronaca contemporanea e della storia altro non sono che manifestazioni simboliche, momenti di inappellabile dialettica fra natura e cultura. L’immagine d’arte intesa come archetipo non è una verità ma una finzione scenica, ed è per questa ragione che le opere di Angelo Giordano hanno un loro intangibile carattere misterico. Intendere l’opera come finzione scenica significa – in atto – non chiudere la sintesi, non irrigidire i poli della dialettica, ma creare immagini che possono suggerire una processualità infinita dell’essere e del fare. È proprio l’intento d’infrangere i limiti delle convenzioni linguistiche che conduce l’artista a quella sorta di epifania espressiva nella quale rifluiscono i modi del caos figurativo, quanto le perversioni della critica del Secondo Novecento – quasi ad abiurarne gli esiti fino ad allora manifesti – avevano in qualche modo relegato la rappresentazione del corpo umano a pittura di genere, a vantaggio della moda dell’informale. Ed è propio in questo contesto “teatrale” che le opere di Angelo Giordano, impregnate di una grande Napoletanità guardano ad un vero e proprio “Barocco Metropolitano”. Un figurativismo in cui, come nella musica antica Barocca, ogni “nota ed ogni affetto hanno un suo significato e peso specifico”. Ogni pennellata, ogni linea tenta di rievocare lo stretto legame tra musica e pittura, come un’armonia musicale fatta di linee e cromie. Extra Factory – Art Gallery Via della Pina d’Oro, 2 Piazza della Repubblica LIVORNO
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Un commentatore di WordPress
11 Agosto 2021 at 15:10Ciao, questo è un commento.
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